Ianva

La Ballata Dell'ardito

Ianva


Dividendo l'acquavite ed il mio trinciato forte 
Sopra l'altipiano all'alba, 
Io e un tenente prigioniero sprofondammo nel silenzio 
Di quell'invernale calma. 
L'aria tersa delle vette non recava quel fetore 
Ch'era a entrambi familiare, 
D'un'Europa di vent'anni presa nel filo spinato, 
A marcir come il letame... 

Ma se vi ho guidato è perché ero disperato, 
Non intrepida irruenza, ma solo indifferenza. 
E se mai fui Ardito, fu solo perché ferito 
Ero da tempo e attendevo il momento 
Dell'estremo congedo, del definitivo Credo 
Di chi mai sentì giusto null'altro che il disgusto... 

La battaglia del Solstizio s'annunciò con un tremendo 
Rombo lungo tutto il fronte 
Un buon giorno per morire, proprio quello che più a lungo 
La sua luce al mondo infonde. 
Li portai fuori cantando versi amari di condanna 
Imparati in angiporto, 
Confidando che la sorte raccogliendoci a manciate 
Almeno raddrizzasse un torto. 

Ma se fummo chiamati eroi ed encomiati 
La trattativa il sangue scherniva, 
E per tutti coloro che divennero concime 
Un regio dispaccio di cordoglio vile. 
Così presi licenza di sfidare la potenza 
Non più di avversari che sanguinavano al pari, 
Ma della mano che ordisce, in sicurezza e con decoro, 
E strangola i popoli con catene d'oro. 
Adesso ad un solo Superiore eternamente 
Vado cercando udienza: 
"Maggiore Renzi, presente!"